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La gabbia di Maifredi
La gabbia di Maifredi nasce da un incubo avuto dall'Artista durante il suo periodo neoplastico. Se infatti da un lato le sue opere neoplastiche tentavano di rinchiudere spazialmente e temporalmente l'atleta all'nterno di uno spazio ben preciso, circoscritto e fissato nel tempo, dall'altro la sua psiche iniziò a sentirsi essa stessa costretta ed impedita ad esprimere completamente la propria arte. L'Artista stesso infatti definì la Sport Art del Neoplasticismo come un'arte incompiuta, che troverà il proprio compimento solo nel periodo succesivo, quello dell'Espressionismo Astratto. La gabbia di Maifredi rappresenta proprio l'apice di tale costrizione artistica ed emotiva. Un'opera surrealista dove la metafora della gabbia che imprigiona il proprio creatore, il quale riteneva di essere in grado di prendere due piccioni (ivi rappresentati) con una fava, quest'ultima noscosta nella sacca, simboleggia l'arte che imprigiona il proprio creatore. L'uomo senza testa rappresenta la mancanza di idee, in quanto rinchiuse all'interno della gabbia, senza possibilità di uscire. Il bastone da passeggio invece è in realtà uno gnomone che misura il tempo passato nella gabbia, in attesa di liberare la propria espressività. Il quadro è un olio su tela con cornice coeva. Una curiosità che soltanto pochi conoscono: le calzature del presonaggio rappresentato, sono delle scarpe da calcio; al di sotto l'Artista dipinse dei tacchetti, oggi non più visibili perché coperti dalle scarpe. L'Artista se ne accorse troppo tardi. da cui nacque la sua celebre espressione: "Eh, queste scarpe....".