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Altre opere, critica, varie

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La serializzazione nella SportArt pop

Fra le opere più popolari, in senso stretto, più pop, c'è la serie One dollar dell'Artista. Non si hanno notizie specifiche sulla genesi di questa opera seriale, e nemmeno quante ne siano state prodotte. Ciò che è appurato invece, è l'esistenza di una serie di bozzetti creati dall'Artista come base per le serigrafie. La serialità di queste ultime consite nella riproduzione dello stesso tema, come si evince apppunto dal bozzetto, mentre differisce l'atleta associato all'opera . Ma perché l'Artista utilizza la banconota da 1 US$ per queste serigrafie? Intanto perché non ha mai posseduto banconote di taglio più grande da cui copiare. Poi per una serie di altre ragioni. Innanzitutto quello del dollaro è un simbolo molto potente ed universalmente conosciuto. La serializzazione è poi un connotato tipico della pop art, come l'Artista apprese dal suo mentore newyorkese Andreuccio Varlordi, un tizio che fece fortuna grazie ad una fotocopiatrice a colori. Il dollaro è potenza, è magnificenza, maestosità ed anche, ovviamente simbolo di ricchezza. Queste caratteristiche si riflettono sull'atleta ritratto. Ma il dollare è anche 1, è unico, così come l'atleta stesso. Può cambiare il colore, la dimensione, il supporto, ma l'essenza dell'opera permane la stessa. Tutto ruota intorno al simbolismo. Tuttavia l'interpretazione non è certa. Di reale esaltazione si tratta, oppure di velata critica nei confronti del simbolo stesso e di ciò che esso rappresenta? Ancor più difficile al giorno d'oggi è distinguere verità da menzogna, giusto da sbagliato, bene da male. Siamo forse dinnanzi ad una metafora del ribaltamento dei valori della società odierna? Come la moneta forte che diventa debole?

Categorie: pop art, sportart

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De capris illiteratis.

Ci sono in giro individui che credono di sapere tutto sull'arte e sul suo mercato. Non sto parlando dei critici ed esperti d'arte, a a scanso di equivoci. Gente che equipara un'automobile o un paio di scarpe ad un quadro. Soggetti il cui nullitismo intellettuale è tanto grande quanto la materia oscura nell'universo. Feccia la cui unica opera d'arte che dovrebbe uscire dalle loro fauci è la Merda d'artista di Manzoni. Eppure costoro pretendono di essere i depositari assoluti della verità. Di sapere cosa è un'opera d'arte, come valutarla, come funziona il mercato ed il collezionismo. Ecco, per costoro i collezionisti sono meri speculatori. Secondo tale punto di (s)vista l'arte viene pertanto ridotta a mero business. Essi ignorano totalmente il mecenatismo, che dall'arte nulla guadagna se non il piacere dei propri occhi. Certo, un guadagno più o meno materiale poteva derivare da una dose di auto celebrazione, di prestigio personale, di ostentazione del proprio status. Tuttavia se queste hanno consentito la creazione degli eccelsi capolavori che tutti noi conosciamo, ben vengano! D'altro canto, chi si ricorda di chi finanziò una certa opera, a discapito del suo autore? Eppure le capre ignoranti dell'informazione generalista ed i troll dei social network trattano l'arte come mera merce da supermercato, equiparano il collezionista a malati con manie di grandezza o dementi, pretendono di giudicare il valore di un'opera e l'acquirente, ignorando che il valore di un manufatto va al di là del mero fattore commerciale, e che esso soprattutto ha un valore soggettivo: un quadro vale quanto tu sei disposto a spendere. Questa è la regola base del mercato dell'arte, e spiega anche perché il valore di quel quadro non lo stabilisce il critico d'arte, l'esperto, bensì il mercato, l'acquirente, il collezionista. Il popolo bue non comprende come si possano spendere cifre a sei zeri per una tela tagliata, anzi, pretende di essere giudice di chi crea e di chi compra, non può esimersi dall'esercitare quel suo presunto diritto allo shaming dell'opera e del suo creatore piuttosto che del compratore, e tutto ciò altro non fa se non rimarcare l'imbecillità intrinseca e la pochezza, per non dire inesistenza intellettuale, di quei tronfi populisti dell'arte. I collezionisti veri non sono speculatori, non raccolgono opere per farci soldi. Né ricavano guadagni, se non irrilevanti rispetto alle spese di acquisto e manutenzione, per esporre quanto comprato. Tanto meno i musei (biennali, fiere, esposizioni varie), il cui scopo non è certo quello di far soldi o di farli fare ad altri: mai visto un museo diventare miliardario ed essere quotato in borsa! Vogliamo poi rivolgere uno sguardo di compatimento a coloro i quali ritengo che la vera arte (fine art) sia solo quella di Michelangelo, Leonardo, Raffaello, e magari Bansky? Masse di babbei inebetiti dall'inebriante esperienza di poter dire la propria su qualunque cosa. Inoltre i collezionisti non sono solo quelli che comprano per grandi cifre Leonardo, Pollack, Caravaggio o Fontana da Sotheby's! Anche coloro i quali spendono poche centinaia di euro nelle televendite notturne rientrano a pieno titolo nella categoria. Non è la spesa che fa il collezionista, bensì la sua passione! Quante piccole o sconosciute opere sono state salvate dall'oblio da chi ha deciso di acquistarle e prendersene cura! L'umanità intera ha verso di loro un grande debito di riconoscenza! Chi pensa che nelle televendite si rifilino "croste", sbaglia! Innanzitutto perché chi crea un dipinto, tendenzialmente non lo fa per tale scopo, ed esso ha pertanto una sua prima soggettiva valutazione, la quale poi può ottenere o meno riscontro (presente o futuro) presso i compratori potenziali. Poi perché ciò che oggi lo spettatore medio del Grande Fratello considera uno scarabocchio, potrebbe essere domani annoverato fra i capolavori contemporanei dallo Sgarbi di turno. Infine poiché non sei tu, affabulatore di pidocchi da tastiera, ad aver degnato della tua considerazione l'opera, non hai nemmeno diritto di criticare o dileggiare coloro i quali traggono piacere dalla visione degli altrui manufatti. E se i beceri ignoranti del piccolo schermo vogliono solleticare quell'unico neurone che è loro rimasto, che ascoltino i nomi degli artisti in vendita. Probabilmente non ne riconosceranno nemmeno uno, ma chi ha una qualche reminiscenza della storia dell'arte appresa a scuola (non vorremmo ardire a riferirci a studi superiori, giammai!) forse potrebbero rimembrare qualche artista del passato, visto che i più recenti Schifano, Christo, Burri, Capitanio, Bernard Aubertin, tanto per citare alcuni nomi noti nel panorama nazionale, sono viepiù sconosciuti sui banchi di scuola, ma anche sui comodini di casa. D'altro canto l'arte non è per tutti: essa comporta uno sforzo intellettivo con non tutti possono compiere. Meglio sottrarre a costoro la visione di ciò che non possono comprendere e lasciarli piuttosto a sguazzare nella loro confortante melma populista, sarebbe altrimenti come dare perle ai porci. Anche chi non sa né leggere né scrivere, chi ha trascorso la propria vita scavando nelle cave o coltivando riso senza sosta, può apprezzare e commuoversi dinnanzi ad un'opera d'arte, famosa o meno. Chi invece preferisce uniformarsi alla comune demenza delle deliranti masse acefale senza alcuna coscienza propria può tranquillamente scomparire nel buio di un'esistenza inutile e destinata al perenne oblio. Già solamente l'atto della creazione racchiude in sé un valore incomparabile; possiamo poi discutere del risultato, comunque in maniera soggettiva, senza che ci si riduca al classico "questo potevo farlo anch'io" solitamente proferito da sfinteri maleodoranti di esseri con fattezze umanoidi ma sistemi nervosi da platelminta. Il processo creativo, pur con le sue differenze, accomuna i risultati finali, sia che si tratti di arte, o che si tratti di qualcosa che arte non è. E si noti bene, che tale distinzione non è sempre di facile soluzione; è cosa piuttosto nota che la maggior parte degli artisti vengano riconosciuti come tali, o come grandi, molto tempo dopo la loro stessa morte: vi ricorda nulla un tale Van Gogh? Le stesse opere cambiano valore col passare del tempo! Chi siete dunque voi, sofisti della tastiera, per giudicare il collezionista, i suoi acquisti, e le sue spese? L'invidia dell'intellettualmente pezzente si è sostituita a quella che secoli or sono divideva i poveri dai ricchi, in tal caso per ovvi ragionevoli motivazioni. Negli ultimi tempi abbiamo attraversato, non senza vittime, il populismo anti scienza, anti cultura, ora siamo persino al populismo anti arte, esercitato da masse deformi di novax del pennello, di complottisti dell'informale, di negazionisti della scultura! Polpette di carne umana deforme che si insinuano nelle comunicazioni e nell'informazione in un processo di nichilismo cerebrale di assimilazione alla coscienza dei Borg, pronti a ripetere all'infinito ed obbedire pedissequamente al loro leader. In una società dove anche il libero pensiero sta diventando un lusso, l'arte poteva ancora rappresentare un'ancora di salvezza per l'umanità, un appiglio per quella indispensabile varietà e differenziazione che ha sino ad ora permesso al genere umano di sopravvivere. Eppure le capre ignoranti si insinuano, procreano, proliferano, e potrebbero presto affermarsi come specie dominante sul nostro pianeta. Se così sarà, meglio l'estinzione.

Impara l'arte e mettila da parte

l'Artista

Categorie: critica, articoli.

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Alberto Burri e la Sport Art

Pochi sanno che Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995) uno dei capostipiti dell'arte informale, era anche un grande appassionato di sport, calcio soprattutto. Fra le diverse correnti artistiche che animarono il dopoguerra, fu uno degli spazialisti più celebri e contribuì alla stesura del Manifesto del Movimento spazialista per la televisione del 1952. I suoi sacchi, il cellotex, i gobbi, le muffe, le crete, le plastiche sono famosi in tutto il mondo. Tuttavia Burri realizzò anche opere meno conosciute, fra litografie, stampe e manifesti.

Fra la fine degli anni '80 ed i primi dei '90 (poco dopo morì), Burri conobbe la Sport Art. Non è ben chiaro come egli scoprì tale corrente ed il suo ideologo, l'Artista; ciò che però è dato come fatto acquisito, è che Burri venne in contatto con alcune delle opere dell'Artista, venendone inevitabilmente influenzato. Purtroppo di lì a pochi anni, come detto, il figlio di Città di Castello sarebbe deceduto. Tuttavia egli fece in tempo a produrre alcune opere che ancora oggi ricordiamo, in quanto relative ai mitici campionati mondiali di calcio del 1990 in Italia. Si tratta di una serie di 6 manifesti / bozzetti per pubblicizzarli, risalenti al 1987; sono esposti presso la Collezione Burri - Ex Seccatoi del Tabacco - a Città di Castello, ed essendo fondamentalmente delle stampe, ne vengono riprodotti di continuo. Ciò nulla toglie al loro valore intrinseco. In essi scoviamo la serialità delle opere pop di Warhol, ma anche la classicità tanto cara agli artisti della zona del Montefeltro e dintorni, da Piero della Francesca, al Perugino, da Raffaello Sanzio al Vasari ed alle loro scuole, che di cotanta ispirazione furono per Burri ed i suoi coetanei. La Sport Art racchiude in sé le ceneri dell'arte passata, che in essa rinasce come l'Araba Fenice; Burri riesce ancora una volta a sorprendere tutti, con un'opera seriale che mette insieme la più famosa opera della classicità romana, il Colosseo, luogo di intrattenimenti e rappresentazioni, con lo spettacolo più popolare per gli Italiani, ovvero il gioco del calcio. Ecco che i ruderi di quel tempio divengono uno stadio, ed il palcoscenico il terreno di giuoco.

Burri, in un’intervista, descrisse così il suo lavoro: “È semplice vero? Mi sono preoccupato molto perché lo fosse. Non volevo una grande idea che rincorresse se stessa, volevo una cosa nostra, di tutti i giorni, com'è il calcio. M'è venuto in mente il Colosseo. Cristo, mi sono detto, ma cos'è il Colosseo se non uno stadio? E al tempo stesso è l'immagine dell'Italia. E allora ho cominciato a cercare di fondere le due facce, di portare il pallone dei mondiali nel primo grande stadio della nostra storia. Mi sono messo il Colosseo davanti e ci ho lavorato sopra. L'ho guardato e riguardato finché non ho capito come si poteva adattarlo al calcio e a me.”

Erano anni di innovazione, di avanguardia anche nel mondo del calcio e dello sport: Vicini e poi Sacchi, Boskov e Bagnoli, Platini e Maradona, la Ferrari di Montezuma, Alberto Tombola nello sci, la mascotte dei mondiali Ciao (una delle più brutte mai realizzate), la Sampdoria di Vialli e Mancini, l'Hellas Verona che vince lo scudetto, nel ciclismo Indurain e Bugno, il figlio del vento Carl Lewis e quello del doping Ben Johnson. Non poteva dunque un grande innovatore nel campo dell'arte come Alberto Burri esimersi dal divenire parte attiva di un tale flusso di nuova linfa che percorreva la società italiana di quegli anni. Pur trattandosi di opere molto distanti rispetto al suo stile(i) più consolidato e celebre, i manifesti di Italia 90 rappresentano il germoglio di ciò che Burri avrebbe potuto rappresentare per la Sport Art. Un rivale per l'Artista, indiscusso leader del movimento? Un'alternativa? Un nuovo impulso? Non lo sapremo mai. Ma forse nemmeno ci importa saperlo.

Categorie: altri artisti, sportart.

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Arte partecipativa, un contributo dell'Artista

Innanzitutto, cos'è l'arte partecipativa? Da Wikipedia: "L'arte partecipata (o partecipativa) usa un approccio al fare arte che coinvolge direttamente il pubblico nel processo creativo, autorizzandolo a divenire coautore, editor e osservatore dell'opera medesima."

In occasione della manifestazione "Artisti al Monte 2023" a Santa Maria Tiberina, L'Artista si imbattè in un'opera d'arte partecipata. Si trattava di una scultura in cartone e cartoncino, alla quale l'autore proponeva di aggiungere il proprio contributo, in maniera tale da far crescere e sviluppare l'opera, l'idea. Un concetto di arte partecipativa in fieri, che continua ad evolversi, a mutare, accartocciandosi su sè stessa. Così compaiono, animaletti, arbusti, carriole, origami di carta. La scultura cambia, si tramuta in qualcosa di diverso rispetto all'originale, secondo un percorso che non prevede passi indietro. Il risultato, che sia ciò che sia, non importa se apprazzabile o grottesco, porta evidentemente ad un cambiamento. Un tema, quello della mutazione, affrontato da tantissimi artisti, in questo caso si realizza mediante aggiunte, lasciando dunque intonso il nucleo originario. Un'opera dunque che per sua natura altro non può fare se non crescere indefinitivamente, sino alla conclusione del proprio ciclo vitale. Un ciclo al quale anche l'Artista ha voluto concedere il proprio contributo. Al lettore spetta scovarlo.

Inutile dire che in seguito a tale prestazione, l'opera generò immediatamente una cospicua PLUSVALENZA.

Categorie: altre opere, scultura.

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3x1 Knorr's Soup Cans

3x1 Knorr's Soup Cans è l'opera terza della serie "Knorr's soup". Venne realizzata un martedì di tanti anni fa. L'Artista aveva invitato a cena tre famose pittrici: Jeanne Hébuterne, Lenor Fini e Tamara de Lempicka. Esse accettarono di buon grado e lo salutarono dicendogli "Ci vediamo martedì". Lo scopo non era tanto parlare di pittura ed avanguardia, bensì di portarsene a letto almeno una. Per cena cucinò appunto tre zuppe di fagioli Knorr, anche se erano in quattro: la vecchia volpe sapeva bene che le donne non mangiano mai una porzione intera. Sfortunatamente le tre artiste non si presentarono. Dissero che avevano mal di testa. Tutte e tre. Lo stesso giorno. Intristito, l'Artista dipinse dunque tale opera pop a sempiterna memoria del pacco. O meglio, del barattolo.

Si tratta di una stampa su pergamena egizia originale, poi fotocopiata.

L'Artista dovette mangiare da solo tutta la zuppa. Poi uscì in terrazzo. Il cielo si imbrunì.

Categorie: altre opere, pop art, eccellenza italiana

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l'Artista neoplastico

Gli artisti si sa, sono sempre insoddisfatti, alla ricerca di novità e stimoli. Fu proprio per tale motivo che L'Artista si avvicinò al movimento neoplastico alla ricerca di nuove forme d'espressione. Il Neoplasticismo lo influenzò profondamente. Egli ebbe l'occasione di trascorrere un certo periodo della sua vita nello stanzino di Mondrian a Parigi, ove ricevette la rivelazione della geometria pura come forma di espressione artistica. Segmenti, forme geometriche, punti, per ridurre la propria arte ad una forma essenziale, quasi primordiale. In tal modo egli riuscì nell'impresa di ingabbiare il movimento, l'essenza dello sport, in contenitori limitati nello spazio e nel tempo. È la resa dell'atleta allo schema, all'ordine, alla regola. E poiché non esiste movimento senza spazio, ecco che il concetto di azione, di movimento in seno alla pratica, viene ridotto ad una staticità perpetua che comunque racchiude in sé stessa l'enorme potenza del gesto atletico, come una placida stella che un giorno esploderà. Proprio per tale motivo egli considera le sue opere incomplete. Solo attraverso il passo successivo, quando l'Artista si avvicinerà all'Espressionismo Astratto riuscirà a portare a compimento quell'evoluzione artistica che rimase ingabbiata nei suoi quadri neoplasticisti. D'altro canto anche l'uso del colore subì una trasformazione, con l'abolizione di sfumature e tonalità, e la riduzione a tinte basilari. Una sorta di minimalismo cromatico teso ancora una volta a limitare fantasia ed estro ed a riportare la pittura alla sua essenza. I capolavori neoplastici dell'Artista non possono lasciare indifferenti, suscitano un turbinio di emozioni talvolta talemente violente da provocare crisi emozionali e crolli in chi le osserva. Una sorta di sindrome di Stoccolma la quale, seppur per certi versi anche pericolosa, scatena nell'osservatore una sorta di dipendenza emozionale da cui è difficile staccarsi. Molti dei suoi quadri sono definiti "seriali", in quanto paione seguire un percorso temporale durante il quale un'opera primigenia viene ulteriormente sviluppata, articolata, come il tronco di un albero che si divide in rami. La serie delle cosiddette "Composizioni" ne è l'esempio più conosciuto.

Categorie: rivista, neoplasticismo, eccellenza italiana

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24 Knorr's Soup Cans

24 Knorr's Soup Cans è un'opera della celebre serie "Knorr's soup" realizzata dall'Artista e poi copiata grossolanamente da tanti imbianchini. Avido consumatore di zuppe Knorr, l'Artista utilizzò le lattine come spunto per sperimentare e realizzare opere pop, le quali servirono da studio per la realizzazione di nuovi capolavori in chiave pop della Sport Art.

Si tratta di una stampa serigrafata su vinile impresso a caldo su laminato.

Per poter realizzare il capolavoro, l'Artista dovette mangiare tutte e 24 le latte di zuppa in un volta, onde poter disporre del modello. Inutile dire che Knorr non pagò mai nulla all'Artista per la pubblicità gratuita. In compenso il Maestro raggiunse un livello creativo impensabile, grazie alla propulsione meteorica la quale, di contro, innescò una crisi mondiale del gas che ancora oggi paghiamo.

Categorie: altre opere, pop art, eccellenza italiana

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